Questo monologo è presente nel mio secondo libro "Eva e altri silenzi", pubblicato nel 2014.
E' un testo dedicato al tema della violenza sulle donne. Ho pensato di creare una definizione di questi individui che attuano violenza di genere e che arrivano spesso al femminicidio.
Ecco, per me, sono dei MINI UOMINI.
Esseri non definibili come "veri uomini" perché non accettano il fatto che la donna sia un essere pensante, titolare di diritti e doveri, come loro.
I MINI UOMINI sono quelli che si sentono "maxi" solo con la clava del cavernicolo.
I MINI UOMINI sono quelli che attuano VIOLENZA perché non sanno gestire le loro emozioni, non sanno cosa sia l'empatia, non sanno distinguere il sé dall'altro, non sanno cosa sia il rispetto della persona. Il rispetto della vita umana.
Sono quelli che vedono la donna come un oggetto da possedere, manipolare, usare e poi, spesso, annullare.
Non sono "malati": sono solo dei MINI UOMINI.
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"I MINI UOMINI" monologo di Barbara Giorgi
Ci sono uomini e uomini. Certo: ci sono anche donne e
donne. Come ci sono pure gatti e gatti, lasagne e lasagne, scarpe e scarpe,
libri e libri. Al mondo c’è varietà.
Anche gli uomini sono di diverso tipo.
Ma va da sé: senza gli uomini non potremmo certo scrivere
e cantare di sole-cuore-amore, non
potremmo leggere i versi di Paolo e Francesca, non guarderemmo la luna e le
stelle con il naso all’insù e lo stomaco in subbuglio, non compreremmo chili di
post-it per lasciare messaggini innamorati in ogni dove, non sospireremmo come asmatiche
di fronte al mazzo di rose rosse simbolo d’amore eterno, non piangeremmo
lacrime più copiose delle gocce del Gange nel guardare film romantici.
Non saremmo noi. Senza gli uomini non saremmo qui.
E loro senza di noi? Neppure loro sarebbero qui. Solo che
molti non lo sanno: credono di essere arrivati con la cicogna.
Comunque, non sono tutti così male.
Ci sono quelli della partita satellitare sparata in tv a
tutto volume (per ascoltare meglio i commenti sagaci e filosofeggianti dello
speaker) accompagnata da un chilo di spaghetti al dente conditi con vasetto
confezione famiglia di sugo all’amatriciana. E birra fredda. Il tutto senza
apparecchiare, così come viene, un momento improvvisato e naif sul divano
(soprattutto sui divani di stoffa bianchi che attirano il sugo a calamita).
Ma questi sono gli uomini che - probabilmente - ci stanno
pure simpatici. Perché, diciamolo, è preferibile che guardino la partita invece di vederli girare in casa con trapano e martello mentre tentano di
attaccare mensole. Mine vaganti. E guai a chiedere informazioni sulle
intenzioni: è lesa la loro dignità di bricoleur.
Poi ci sono quelli che invece fanno gli intellettuali.
Magari non lo sono, ma lo fanno.
E sanno tutto di tutto e tentano di spiegarci al millimetro cosa sarebbe meglio
fare-come-quando-perché.
E se ci raccontano una cosa iniziano da Adamo ed Eva, mentre noi sappiamo già
qual è la conclusione e pure tutte le eventuali opzioni e vie di fuga. Con e
senza mela del peccato.
E mentre parlano, noi pensiamo alla lista della spesa,
ripassiamo tutto il bilancio familiare e quello dell’ufficio.
Ma questi uomini non sono così male: parlando tanto, ci
aiutano a stare sveglie anche senza caffè.
Poi ancora ci sono quelli muti. Come un pesce, come una lumaca,
come il vaso di terracotta con le ortensie. Mutissimi. E se parliamo chiedendo
la loro attenzione, ci fissano con un’assenza di pensiero preoccupante. La
spiegazione logicissima è sempre quella. Sono stanchi. Noi no. Noi siamo sempre
vispe come grilli ad agosto: anche con quarantadue di febbre, mal di testa cronico
e tallonite acuta. Ma si sa: la stanchezza è prerogativa del maschio che
lavora. La donna lavora per diletto.
Ma anche questi uomini, in fondo, sono amabili. Il loro silenzio ci permette
l’elaborazione di monologhi entusiasmanti, tipo quelli tenuti allo Speakers’ Corner
a Londra. Ce le cantiamo e ce le suoniamo.
E infine ci sono loro: i “mini uomini”. Quelli che sono
“mini” in quanto non sono uomini. Non come gli altri. Sono omini, omuncoli,
ometti.
I “mini uomini” sono quelli che per sentirsi “maxi” usano
la clava: non sono ancora usciti dalla caverna, non sono ancora sapiens sapiens, non hanno ancora capito
che l’altra metà del pianeta è abitata da noi donne. Credono di essere gli
unici soggetti pensanti di tutto l’universo. Oltre a loro, tutto il resto, dal
pidocchio alla donna, dal virus alla femmina… è roba da brodo primordiale.
Anzi, credono che i virus siano anche più intelligenti della donna.
I “mini uomini” sono quelli che prima dicono di amarti:
vanno in cielo e rubano la luna per te, ti coprono di petali di rosa e ti fanno
levitare dal suolo. Poi ad un tratto, un giorno, si tolgono la maschera
mostrando il loro essere mostruoso.
E iniziano ad arrivare le critiche cattive, quelle
costruite ad hoc per distruggere la nostra sicurezza, per farci sentire in
balìa delle onde.
E poi arrivano le offese urlate, quelle scagliate contro
come sassi: una lapidazione in piena regola per noi, colpevoli d’essere donne.
E ancora, come in un film dell’orrore quando la musica
incalza, ecco le spinte, ecco il primo schiaffo.
E poi un altro ed un altro ancora.
E magari, nel tempo, arrivano i pugni. E i calci sul
corpo disteso a terra, piegato e racchiuso in sé come quello di un neonato.
Noi non usiamo la forza. Non quella fisica. Raro.
Noi siamo forti dentro. Siamo dei contenitori immensi di
forza interiore. Siamo così immense che in noi non esiste un principio e non
esiste una fine.
O meglio, la fine spesso c’è. E noi, con il nostro contenitore di forza, ce ne
andiamo senza far troppo rumore. Basta l’ultimo calcio, basta l’ultimo pugno.
Ma il “mini uomo” non vince. Non può vincere. Non vincerà
mai.
Perché per ogni donna caduta sotto la sua clava da
cavernicolo, ce ne saranno sempre altre mille che alzeranno la testa.
Barbara Giorgi Copyright
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